A.A.A. - D.S.A. - Dislessia, un limite da superare

A.A.A. - D.S.A. - Dislessia, un limite da superare

venerdì 20 maggio 2011

Convegno sulla Dislessia a Villa Bruno del 19 maggio 2011

Ieri alle ore 22.00 si è concluso il nostro primo convegno dal tema: Dislessia, come conoscerla, come affrontarla - Un  percorso tra famiglie, scuole ed istituzioni. Ringrazio gli amici, i genitori, i Dirigenti, Gli addetti ai lavori, le istituzioni per la loro presenza. Eravamo più di 300, un forte segnale che urla a tutti che vogliamo costruire "insieme" qualcosa che spetta di diritto ai bambini/e e ragazzi/e D.S.A. . A freddo posso dirvi, con emozione, che questa è e sarà la spinta per concretizzare i nostri obbiettivi. Lo sportello sta funzionando bene, il laboratorio informatico sta prendendo forma, e i contatti si stanno stringendo. Confido sul vostro certo contributo e sostegno. Presto pubblicheremo foto ed altro. Un saluto e grazie anche agli altri Associati che hanno fatto un lavoro intenso presso le scuole del territorio.
Il Presidente dell'Associazione
Bruno D'Acunzo

giovedì 19 maggio 2011

Convegno sulla Dislessia a Villa Bruno - San Giorgio a Cremano il 19 maggio 2011 alle ore 18.00

DISLESSIA
COME CONOSCERLA, COME AFFRONTARLA
Un percorso tra famiglie, scuole ed istituzioni
19 maggio 2011
ore 18.00
Bibioteca di Villa Bruno
 San Giorgio a Cremano
il convegno è aperto a tutti e gratuito

Intervista al Professor Giacomo Stella sulla legge sui DSA


In occasione dell’uscita della nuova legge sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento(DSA) varata il 29 settembre 2010, la rivista “Psicologia e scuola” ha intervistato il Professor Giacomo Stella, docente di Psico-patologia dello Sviluppo e fondatore dell’Associazione Italiana Dislessia (AID). Quali sono in ambito scola-stico le novità rilevanti introdottedalla legge sui Disturbi SpeciȀcidell’Apprendimento (DSA) varata il 29 settembre 2010, rispetto alla Circolare Ministeriale degli anni scorsi?
La legge prima di tutto introduce una tutela giuridica del bambino con DSA e questo non è irrilevante. Fino ad oggi chiunque poteva dubitare, ad esempio, dell’esistenza della dislessia e sulla base di questo scetticismo personale decidere di non pplicare nessuna misura specifica per aiutare il bambino con dislessia. L’insegnante in sostanza poteva assumere un atteggiamento negazionista ed era compito della famiglia dimostrare che il bambino aveva delle difficoltà. Oggi la legge ribalta la situazione: è l’insegnante che non può rifiutarsi di considerare le difficoltà del bambino e prima di assumere posizioni basate su convinzioni personali deve cercare di parlare con la famiglia e avviare procedure di verifica delle eventuali difficoltà. La legge difende il bambino dagli interventi vessatori che spesso, anche in buona fede e per pura ignoranza del problema, vengono attuati nei suoi confronti.
Nella legge sono presenti alcuni aspetti significativi e innovativi, primo fra tutti il riconoscimento di dislessia, disgrafiaa, disortografiaa e discalculia come Disturbi Specifici di Apprendimento. Che ricaduta avranno nella scuola?
L’approvazione della legge non cancella con un colpo di spugna l’ignoranza sul problema e le perplessità degli insegnanti, come dimostrano i vari interventi critici pubblicati in questi giorni sui giornali. Tuttavia la legge mette un punto fermo che costringe tutti ad informarsi e a formarsi, a prendere davvero in considerazione le difficoltà dei bambini dislessici. Il riconoscimento dei DSA chiarisce che non si può fare di tutta l’erba un fascio e che quindi davanti a un bambino che stenta ad apprendere non si può concludere semplicisticamente che “non ne havoglia. Naturalmente la definizione di dislessia per legge è solo un punto di partenza, ma un punto che ci dà molta forza e indica una strada da percorrere. Definire per legge la dislessia significa avere la possibilità di affrontarla con gli strumenti compensativi e le misure dispensative che rendono meno ripida la salita dell’apprendimento.
A chi sarà affidata la formazione del personale docente e dirigenziale delle scuole, perché possa essere preparato all’individuazione precoce dei disturbi e alla realizzazione di interventi mirati?
I centri tradizionalmente deputati alla formazione degli insegnanti (le università) su questo tema sono senz’altro in grave ritardo (tranne pochissime eccezioni che si contano sulle dita di una mano). Il Ministero dell’Istruzione ha firmato alcuni mesi fa un protocollo d’intesa con l’Associazione Italiana Dislessia (AID) per la formazione degli insegnanti, riconoscendo nei formatori dell’AID degli interlocutori preparati. Del resto, AID negli ultimi anni ha operato nelle scuole per far crescere la sensibilità culturale sul tema della didattica e degli interventi per i bambini con DSA. In questa ottica AID ha sviluppato collaborazioni con gruppi e associazioni, come ad esempio GISCEL e AIRIPA. Le esperienze sviluppate in questi anni sono PSICOLOGIA e scuola on line  concretizzate nel progetto“A scuola di dislessia”, finanziato da Fondazione Telecom Italia e patrocinato dal Ministero della Pubblica Istruzione, e che coinvolgerà nei prossimi 2 anni 7000 insegnanti  delle scuole di ogni ordine e grado, con l’obiettivo di creare in ogni istituto un referente per gli insegnanti della scuola sui problemi dei bambini con DSA.
Come vede la collaborazione tra la scuola e il Servizio Sanitario Nazionale nella valutazione precoce?
L’individuazione precoce è un obiettivo molto importante da raggiungere, poiché sappiamo che quanto prima si riesce a individuare il problema, tanto migliori sono le prospettive di recupero per i bambini. Tuttavia molti problemi sono ancora aperti su questo fronte. Prima di tutto gli indicatori affidabili dei DSA: quando è possibile individuare un bambino con disturbi specifici di apprendimento? Nella scuola dell’infanzia quante probabilità abbiamo di riuscire a identificare in anticipo sull’avvio della letto-scrittura un bambino con difficoltà? Chi fa gli screening nella scuola? Gli insegnanti o gli operatori sanitari? La conferenza di consenso che sta terminando ora i suoi lavori ammonisce a non essere troppo precipitosi nell’individuazione dei bambini con DSA e ad attendere almeno 2 anni dall’avvio della scolarizzazione per porre una diagnosi certa. Tuttavia, ciò non significa che non si debbano e non si possano avviare prima delle pratiche di potenziamento per i bambini che sembrano mostrare lentezza o difficoltà ad apprendere. In ogni caso, il rischio di provocare un eccesso di diagnosi o di segnalazioni di bambini dislessici è elevato ed è stato evidenziato, sia pure con mezzi rozzi, anchLe da coloro che hanno paventato il rischio di ospedalizzazione della scuola. Bisogna in effetti essere molto prudenti ed evitare che a livello culturale passi il messaggio che ogni tipo di difficoltà scolastica è espressione di un disturbo di apprendi-mento. In questo senso è importante lavorare parallelamente sulla scuola e sui clinici per spiegare l’importanza di un approccio metodologico rigoroso e per molti aspetti comune.
Quali prevede siano i vantaggi della legge a lungo termine? Quali aspetti a suo parere meriterebbero maggiore approfondimento?
Come nel caso della ormai mitica legge sull’inserimento dei portatori di handicap, il principale effetto della legge sarà quello di far crescere il livello culturale della scuola e della società in generale. Il lavoro da fare in questi anni sarà quello di vigilare perché venga ridimensionata la componente “sanitaria” del problema, poiché c’è effettivamente il rischio che ad ogni difficoltà venga cercato un corrispettivo patologico. La scuola deve abituarsi alle diversità e questa legge va sicuramente nella stessa direzione poiché aiuta gli insegnanti a prendere atto della presenza di bambini che apprendono in modo diverso, e le cui conoscenze necessitano di essere verificate in modo diverso.

mercoledì 18 maggio 2011

Convegno sulla Dislessia a Villa Bruno - S. Giorgio a Cremano il 19 maggio 2011 alle ore 18.00

DISLESSIA
COME CONOSCERLA, COME AFFRONTARLA
Un percorso tra famiglie, scuole ed istituzioni
19 maggio 2011
ore 18.00
Bibioteca di Villa Bruno
 San Giorgio a Cremano
il convegno è aperto a tutti e gratuito

Adottiamo nelle scuole libri testi che abbiano anche la versione digitale

Nel nostra compagna di presentazione sul territorio della nostra Associazione, uno degli argomenti che spesso ci capita di discutere con i dirigenti scolastici, è la sccelta ponderata dei libri di testo. Questo perchè supportati, ormai, dalla Legge n.170 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico", da diritto agli studenti dislessici di usufruire di strumenti e strategie didattiche per accedere in modo paritario ai contenuti e alle nozioni oggetto del programma di studio. Suggeriamo sempre di controllare che le case editrici forniscano anche la versione digitale dei libri di  testo: tale strumento compensativo permette allo studente di accedere ai contenuti del libro di testo adottato sia tramite canale visivo ( libro cartaceo e versione dello stesso in Pdf) che tramite canale uditivo.
I ragazzi D.S.A. che si avvalgono di una sintesi vocale per la lettura, beneficiano di una modalità di studio che rende comprensibile e meno faticosa la lettura, permettendo allo studente di concentrare le sue energie sull'apprendimento del “contenuto”, non disperdendo quindi attenzione e energia nella codifica letterale, o nella stesura dello scritto.


Alcune Case Editrici hanno prodotto per i testi scolastici anche la versione digitale che “Biblio AID” fornisce tramite un loro servizio presente sul territorio Nazionale ormai da qualche anno e fornisce agli studenti la versione digitale dei libri di testo.
L'Associazione presenta ufficialmente richiesta a tutte le scuole di ogni ordine e grado, a tutto il corpo docente e relativi Dirigenti Scolastici, di adozione di testi scolastici che prevedano la versione  digitale per gli studenti con Disturbo Specifico dell'apprendimento, a partire dal prossimo anno scolastico. Probabilmente molte realtà scolastiche già avranno provveduto all'adozione dei nuovi testi, confidiamo nella oculata scelta per i prossimi anni scolastici
L'argomento ci accomuna e per dato di fatto lo si persegue. Il comunicato è tratto in parte da http://www.politicamentecorretto.com/  dell'AGIAD

I test Invalsi, i normodotati illuminati e le aule Taigeto

Dal Forum della PA

Si sono svolte nei giorni scorsi - fra molte proteste di insegnanti, studenti e famiglie - le prove per verificare il livello di apprendimento degli studenti italiani, con una sorpresa dell’ultimo momento: l’esclusione generalizzata, di fatto e anche “fisica”, dei ragazzi diversamente abili dai test. Ne consegue un consiglio “datato”, che riporta all’antica Grecia e che forse può tornare utile per la disposizione logistico-scolastica prossima ventura.
immagine passepartoutLa settimana scorsa si sono tenute nelle scuole di tutta Italia le prove Invalsi, test che devono (dovrebbero) verificare il grado di apprendimento raggiunto dagli studenti  di alcune classi della scuola primaria e secondaria.
Il “momento educativo” prende il nome dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione e Formazione, che è l’ente incaricato di elaborare i dati - attraverso l’SNV, il Sistema Nazionale di valutazione - che ne scaturiscono. Si tratta di una disposizione ministeriale (il dicastero è quello della Pubblica istruzione) capace di scatenare una ridda di polemiche che non ha risparmiato nessuno dei soggetti coinvolti: insegnanti, alunni e famiglie. Le ragioni sono diverse. I docenti ritengono i test declassanti (se non umilianti), i ragazzi semplicemente inutili (molti dei quesiti sono stati definiti “più che elementari”), i genitori addirittura una palese violazione della privacy (visto che non sono mancate domande personali sul nucleo familiare). A dimostrazione della diffusa avversità alle prove possono valere i tantissimi casi di boicottaggio, non partecipazione o protesta vera e propria (capace di unire tutti sotto un’unica bandiera) che si sono potuti registrare un po’ indistintamente su tutto il territorio nazionale.
Ma rispetto all’evento la cosa ancor più significativa e - francamente - incredibile è data da una circolare che il ministro Mariastella Gelmini ha fatto diffondere proprio attraverso l’istituto incaricato dell’elaborazione poco prima delle prove di quest’anno, nella quale veniva affermato, testualmente, che “gli Alunni con disabilità intellettiva non possono né debbono partecipare” alle prove Invalsi.
A questa è seguita una
nota dell'INVALSI in cui si precisa che le indicazioni si riferiscono solo ed esclusivamente alle prove del SNV (classe II e V scuola primaria, classe I scuola secondaria primo grado, classe II scuola secondaria secondo grado), specifica che “qualunque sia la tipologia di disabilità di un alunno, essa deve essere segnalata sulla Scheda-risposta dei singoli studenti”, aggiungendo quindi i diversi gradi di disabilità (intellettiva, visiva o altro) e specificando poi che la segnalazione “consentirà di considerare separatamente, solo se esplicitamente richiesto dal Dirigente scolastico, i risultati degli alunni con bisogni educativi speciali e di non farli rientrare nella elaborazione statistica dei risultati di tutti gli altri alunni”. In più, “la decisione di far partecipare o meno (e se sì con quali modalità) gli alunni con certificazione di disabilità intellettiva (o di altra disabilità grave), seguiti da un insegnante di sostegno alle prove Invalsi è rimessa al giudizio della singola scuola per il tramite del suo Dirigente. Solo la scuola può conoscere la specificità di ogni situazione e valutare, quindi, la scelta più opportuna”. E quali sono le scelte “opportune” fra le quali scegliere? Eccole, sempre testualmente: “Non far partecipare a una o a tutte le prove SNV gli alunni con disabilità intellettiva o altra disabilità grave, impegnandoli nei giorni delle prove in un’altra attività”, oppure “fare partecipare a una o a tutte le prove SNV gli allievi con disabilità intellettiva o altra disabilità grave insieme agli altri studenti della classe, purché sia possibile assicurare che ciò non modifichi in alcun modo le condizioni di somministrazione, in particolare se si tratta di classi campione. In generale, sono ammessi strumenti dispensativi e misure compensative, con la sola condizione che questi non modifichino le modalità di effettuazione delle prove per gli altri allievi della classe. Non è pertanto possibile la lettura ad alta voce della prova, né la presenza in aula dell’insegnante di sostegno”. Come se non bastasse, ecco infine la chicca: “Se ritenuto opportuno dal Dirigente scolastico, è consentito che gli allievi con disabilità intellettiva o altra disabilità grave svolgano una o a tutte le prove in un locale differente da quello utilizzato per gli altri allievi della classe. Solo in questo caso, è anche possibile la lettura ad alta voce della prova e la presenza dell’insegnate di sostegno”. Alla faccia di tutti i discorsi sull’integrazione e il sostegno che da anni, ormai, accompagnano in maniera positiva la presenza e il percorso dei tantissimi ragazzi diversamente abili nelle scuole italiane.
Prendendo spunto da quest’ultima, incredibile e surreale “opzione” ci permettiamo un consiglio, che se accolto in tempi accettabili può percorrere un iter burocratico celere e tornare magari utile per l’Invalsi del prossimo anno: perché non chiamare Taigeto le aule “differenziate” (il termine è assolutamente appropriato) in questione? Se casomai a qualcuno del Ministero preposto - sicuramente, come senz’altro dovrebbe, normodotato e intellettualmente evoluto - sfuggisse il nesso, aggiungerò che il Taigeto è una catena montuosa del Peloponneso, in Grecia, e domina (ieri come oggi) la città di Sparta, da dove la cima (quasi 2.500 metri) è ben visibile. Fin lassù gli spartani antichi si arrampicavano faticosamente per gettare poi nei dirupi sottostanti i bambini nati deformi oppure per lasciarveli abbandonati, si vede in un impeto tardivo di buonismo. Abbandonati a loro stessi, come la nota – che più chiara non si poteva scrivere – obbliga a fare nei confronti dei molti ragazzi sfortunati che popolano le nostre scuole, in verità da tempo immemore accolti e accettati ovunque come portatori di grande e diversificata ricchezza. È successo davvero in Italia, non nell’antica Grecia, nel mese di maggio dell’anno di grazia 2011. 

lunedì 16 maggio 2011

La guerra dei test Invalsi

FLAVIA AMABILE

Si parlerà ancora a lungo delle prove Invalsi. Il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini vuole introdurla anche alla maturità, distribuendole lungo l'intero percorso scolastico. I Cobas hanno organizzato una campagna di boicottaggio che ha coinvolto il 20% degli istituti e hanno annunciato uno sciopero degli scrutini a metà giugno per protestare anche contro i test per la valutazione. Ma esistono molte perplessità anche fra coloro che non hanno preso parte alle forme di dissenso radicale dei Cobas e hanno aderito al test.

Ho intervistato sei docenti, scelti fra i boicottatori e i non boicottatori. Ascoltando le loro parole ci si rende conto di quanto sia complessa la realtà e variegato il panorama delle opininoni.

Teresa Vicedomini insegna italiano a Nocera Inferiore nella scuola primaria del III circolo didattico. Ha consegnato alla sua dirigente scolastica una dichiarazione di indisponibilità a somministrare, correggere e tabulare le prove Invalsi. «C’è molto malcontento anche fra chi ha deciso di prestarsi come volontario ma non volevano fare polemiche e hanno accettato. Io no, questi test non mi convincono. Ho studiato psicologia, so che esistono intelligenze multiple e che i ragazzi vanno valutati in modo diverso. Rivendico il diritto di noi insegnanti di valutare liberamente i progressi in base all’attenzione degli studenti e al loro contesto familiare. Rivendico il diritto di decidere se una classe deve completare il programma oppure no in base al livello generale delle conoscenze. Di certo non abbiamo bisogno dell’Invalsi per valutare gli studenti sulla base di verifiche e altri strumenti. E non intendo prestarmi a intrusioni nella privacy delle famiglie. A noi insegnanti si chiede di inviare all’Invalsi dati sull’età dei genitori, il titolo di studio, la professione, la nazionalità. Il tutto senza che i genitori ne sappiano nulla. Io ho strappato la scheda».

Candida Di Franco insegna francese nella scuola media Leonardo Da Vinci di Palermo. «Trovo questo tipo di statistica uno strumento di misurazione non valido perché non permette di verificare le reali competenze, si limita agli aspetti nozionistici delle conoscenze degli studenti. Sono pochissime le risposte aperte con la possibilità per i ragazzi di dare spazio alla loro creatività. La maggior parte sono risposte chiuse. E poi si concede poco tempo per completare la prova. Sono contraria e - anche se non in servizio in quei giorni - ho presentato comunque una dichiarazione di indisponibilità a somministrare, correggere e tabulare i test per evitar edi esser ecoinvolta anche nei giorni seguenti. Non mi piace che si spendano tanti soldi, né che ci siano delle ricadute legate alla valutazione delle scuole, né che siano stati coinvolti in modo coercitivo gli insegnanti anche se non esiste alcun obbligo. I presidi hanno spinto gli insegnati a ritenere che non ci si potesse rifiutare di partecipare alla somministrazione o alle altre operazioni legate ai test. Anche questa è una delle tante falsità messe in giro a proposito delle prove Invalsi».

Franco Coppoli insegna italiano all’IISAG, l’Istituto superiore di Istruzione Artistica e per Geometri di Terni. «Durante le prove ho allontanato il somministratore dell’Invalsi per fare la mia normale attività didattica. Avevo diffidato la dirigente scolastica e avvertito il conislgio d’istituto del mio gesto. Insegnare ai ragazzi non significa giocare con le crocette, i miei studenti imparano a scrivere articoli, testi, temi, in modo che possano sviluppare la loro coscienza critica. Per quel che riguarda le scuole invece trovo estremamente scorretto pensar edi poter costruire una classifica sulla base di questi che per me non sono altro che dei banali quiz. I ragazzi di un liceo hanno una preparazione diversa da quelli di un professionale ed è ingiusto legare ai risultati di queste prove il finanziamento che ciascun istituto riceverà in futuro. Si vuole imitare il metodo anglosassone e costruire un ranking delle scuole a livello provinciale che creerà una gerarchizzazione_: poche scuole di serie A di alta qualità lasciando le altre senza fondi per migliorare la loro offerta».

Margherita Ambrosione insegna matematica al liceo Gioberti di Torino. E’ fra le prof favorevoli alle prove Invalsi ma con una certa dose di spirito critico. «Alle superiori le prove Invalsi di quest’anno sono state somministrate alle seconde classi dando per scontato che provenissero da prime classi dove già aveva avuto applicazione la riforma. Le nuove regole invece hanno effetto solo dallo scorso settembre quindi, pur avendo svolto il nostro compito, non terremo conto del risultato delle prove. Per noi docenti è di sicuro un aggravio di lavoro che arriva in un momento dell’anno già piuttosto pieno, è il periodo dei recuperi, della conclusione dei programmi. E poi le prove di matematica mi sono sembrate poco attinenti al programma svolto. Sono però favorevole a tutto quello che permette di allargare gli orizzonti ai ragazzi, a tutto quello che permette di creare un approccio positivo di fronte ad un elemento nuovo come queste prove, e anche a quello che permette a noi insegnanti abituati ad un lavoro piuttosto solitario di fare almeno in questo caso qualcosa insieme».

Marcello Crippa insegna all’Istituto tecnico Marthin Luther King di Muggiò in provincia di Monza Brianza. «Penso che le prove Invalsi siano un’esperienza positiva per le scuole e per gli studenti. E’ un modo per arrivare ad una valutazione nazionale sulla base di parametri ufficiali e riconosciuti e uguali per tutto il territorio. Altri tipi di valutazioni utilizzate finora erano soggettive e quindi abbastanza prive di significato. Essere favorevoli non vuol dire cambiare il proprio metodo di insegnamento. Non ho preparato i miei studenti a queste prove se non con una simulazione per dare loro la possibilità di familiarizzare con questo nuovo approccio. E’ molto importante proprio non sacrificare tempo durante l’anno per concentrarsi sulla preparazione dei test, questo sarebbe un errore. Anche per noi insegnanti le prove possono diventare uno strumento di grande utilità perché ci permettono di capire dove ci sono problemi e quindi dove puntare nella nostra didattica. E’ un modo per migliorare il nostro lavoro e il primo passo verso una scuola più vicina alle esigenze del futuro».

Carlo di Michele è dirigente scolastico dell’Istituto D’Arte Bellisario di Pescara. «Le prove Invalsi non possono essere enfatizzate né scartate a priori. Siamo tutti d’accordo sulla necessità di elevare la qualità delle scuole e di valutarla. Ci dividiamo invece sull’uso delle prove Invalsi a questo fine. Purtroppo il principale nemico della scuola pubblica è l’autoreferenzialità, nessuno sa che cosa succede nelle classi. Quando siamo genitori protestiamo perché per i nostri figli dobbiamo scegliere al buio. Quando siamo professori invece abbiamo paura di far luce. Io penso che si tratti di un approccio nei confronti del quale è giusto avere una sana curiosità considerandolo uno degli strumenti a disposizione, non l’unico. Né bisogna piegare la didattica ai test, l’educazione dei ragazzi deve essere molto più ampia e proprio se un ragazzo ha una preparazione a tutto tondo può risolvere senza problemi i test pur non avendoli preparati durante l’anno. Le scuole non devono diventare testifici, le prove durano i tre giorni della somministrazione, poi per i ragazzi terminano lì».

domenica 15 maggio 2011

Noi genitori contro la scuola che non va

Tratto da La Repubblica del 14.5.2011
La scelta di non far fare ai propri bambini la prova Invalsi allarga il dibattito al vero ruolo degli istituti pubblici
Siamo genitori che si sono rifiutati di far fare ai propri figli, in seconda elementare, i test Invalsi. Non avevamo altra scelta che tenerli a casa e lo abbiamo fatto pensando che anche questa fosse una seconda ingiustizia ai danni dei nostri bambini che avrebbero avuto diritto a un giorno di scuola. Sia chiaro, siamo i primi ad essere interessati alla valutazione della scuola.

Il principio è giusto e lo difendiamo. Ma il metodo lo riteniamo sbagliato, soprattutto perché culturalmente figlio di una “didattica a crocette”, all’opposto di quello che le nostre maestre fanno ogni giorno in classe, di una didattica calata dall’alto e uguale per tutti, che non riconosce che ogni bimbo e bimba ha tempi, stili cognitivi, esigenze di contesto diversi per poter rendere il meglio. I test Invalsi non valutano quanto il gruppo classe sia migliorato nella collaborazione e nella capacità di lavorare insieme, quanta attenzione venga data ad ogni bambino, quante esperienze vengano proposte agli alunni. I test Invalsi sono invece imposti, slegati dalla programmazione e contro lo stesso parere di molti insegnanti, da esperti che mai hanno visto in faccia i nostri bambini. Curioso, per una valutazione di sistema si parte dai singoli e alla fine gli unici a dover fare dei test sono i bambini per valutare un mondo di adulti (insegnanti, presidi, dirigenti, funzionari e ministri all’istruzione).

Non sono nemmeno chiare le finalità di queste prove e se fossero, come confermato da sperimentazioni ministeriali, per dare fondi differenziati agli istituti sarebbe ancora più grave: e la scuola che accoglie disabili, stranieri, bambini in difficoltà – i nostri figli – come verrebbe valutata? A nostro avviso di soldi, questa scuola, dovrebbe averne di più. Ma il test Invalsi questo non lo misura. Siamo contrari perché vediamo nell’Invalsi una cultura che premia il merito di chi già merita, un’idea di scuola-ospedale dove gli esperti curano i sani, non una comunità che cresce insieme, anche con i genitori primi responsabili dell’educazione dei figli.

Noi crediamo in una scuola pubblica statale dove in modo democratico si fanno crescere tutti, ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno dando possibilità. Una scuola che deve essere valutata, senza difese corporative, non per accrescere le "competenze di alunni clienti" da allevare alla competizione, ma per costruire al meglio legami sociali, elaborare la partecipazione di tutti alla vita. Non siamo al passo con l’Europa? Il problema è che test di questo tipo in altri Paesi non sono che uno strumento all’interno di un sistema di istruzione diverso, soprattutto più finanziato, anche nella formazione degli insegnanti. Quest’anno verrà tolto un maestro dall’organico della nostra scuola e non avremo più il tempo pieno causa tagli. E così in molte altre scuole. Ma il test c’è! Per questo diciamo, con un piccolo gesto di disobbedienza civile: no grazie. La scuola che vogliamo è un’altra, basta rileggersi don Milani.

FIRMATARI
Marta Nicotra, Francesco Senni, AnnaMaria Angradi, Annamaria Costanzo, Renato Brandimarti, Marianna Allegri, Tecla Marcozzi

1° INC. NAZ. delle ASS. "DISLESSIA" - Giacomo Stella

1° Incontro Nazionale delle Associazioni Dislessia
26/27 febbraio 2011 - Atahotel Expofiera

Intervento Prof. Giacomo Stella
Ordinario di Neuropsicologia Clinica
Università di Modena e Reggio Emilia, IRIDE