A.A.A. - D.S.A. - Dislessia, un limite da superare

A.A.A. - D.S.A. - Dislessia, un limite da superare

sabato 24 dicembre 2011

AUGURI A TUTTI

Voglio augurare a tutti gli amici che da tempo ci seguono e ci confortano un sereno Natale e  un forte abbraccio a tutti i nostri ragazzi. 
Serene Feste a tutti
 

martedì 20 dicembre 2011

Apprendimento, i dislessici senza esserlo. Come evitare "recuperi" che non servono

La Repubblica del 20-12-2011
Apprendimento, i dislessici senza esserlo. Come evitare "recuperi" che non servono
L'obiettivo è salvare i bambini dai danni di percorsi di recupero ritagliati su misura a causa di "etichette disgnostiche" che non hanno fondamento nella realtà. L'allarme dell'Istituto di Ortofonologia: un bambino su cinque in Italia è considerato dislessico senza esserlo. Sul 23% degli alunni con disturbi dell'apprendimento, solo il 4% è a rischio
ROMA. Salvare i bambini dai danni di percorsi di recupero erroneamente "ritagliati" su loro misura a causa  di etichette diagnostiche fuori luogo. E' l'Istituto di Ortofonologia a lanciare l'allarme: un bambino su cinque, in Italia, viene considerato dislessico senza esserlo. In percentuale, sul 23% degli alunni segnalati nelle scuole come affetti da "disturbi specifici di apprendimento"  solo il 4% è realmente a rischio.  Che ne sarà di tutti loro?
E i veri problemi restano irrisolti. "Segnalare come dislessici bambini che in realtà non lo sono - spiega  il direttore dell'IdO, Federico Bianchi di Castelbianco - significa condizionarne lo sviluppo. Dare strumenti compensativi e dispensativi ad un bambino che può farcela con le proprie forze vuol dire portarlo ad autodefinirsi incompetente ed incapace: lo si dirotta su percorsi alternativi come portatore di una disabilità che non ha, mentre i veri problemi restano non affrontati. Il che lascerà un vuoto di conoscenze che si ripercuoterà pesantemente sul curriculum studiorum con, tra l'altro, oneri economici non sostenibili e totalmente inutili". 
Non malattie, ma impedimenti. Per la dislessia,  la disgrafia,  la disortografia e la discalculia - che non sono malattie da cui guarire, piuttosto impedimenti all'apprendimento - esiste, dal 2010, una nuova disciplina contenuta nelle nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico (legge pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 18 ottobre 2010). La buona notizia è che questa legge ha il merito di aver colmato un "vuoto legislativo" che riguardava le persone con disturbi specifici dell'apprendimento (in considerazione del fatto che non possono essere applicate in questi casi le disposizioni della legge 104 per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate). La cattiva, spiega il presidente dell'Ido, è che sono aumentate "le segnalazioni, alle quali però non corrispondono casi reali. E' un effetto abbastanza tipico: è come se le insegnanti, le mamme avessero trovato una spiegazione degli errori dei propri figli e dei propri alunni. In realtà spesso si tratta di solo di disturbi comuni".
Cosa fare dunque? La risposta è nella scuola. Più che aumentare la presenza di specialisti esterni bisogna potenziare le competenze dei docenti interni, cioè dare loro la migliore metodologia di supporto per arginare il problema legato alla sproporzionata segnalazione dei Dsa (Disturbi Specifici dell'Apprendimento) nei diversi momenti dell'iter scolastico (materna, primaria, secondaria di primo e secondo grado). Per raggiungere questo obiettivo l'Ido ha messo in piedi un progetto sperimentale durato un anno che ha dimostrato come una maggiore attenzione e proposte diversificate per gli studenti siano strumenti efficaci ed efficienti per evitare false "etichette diagnostiche". Tra i risultati, la necessità di rispettare i tempi dei bambini. Evidente è il caso degli anticipatari, che hanno fatto due anni di materne invece di tre. A loro viene richiesto di imparare a scrivere e leggere prestissimo. "Il 3% dei bambini anticipatari - spiega il direttore - vive un disagio generalizzato che spesso viene letto come un disturbo intellettivo, quando è quasi sempre una evidente questione di maturità".
La competenza degli insegnanti. "Il progetto ha dimostrato - conclude il direttore dell'IdO - che gli insegnanti possono individuare con maggiore sicurezza i bambini a rischio Dsa, ma che tale competenza deve essere ampliata, poiché alcune alterazioni nell'area linguistica, visuo-spaziale ed emotiva non vengono considerate in modo adeguato per la loro reale difficoltà. È sufficiente - conclude - ampliare tale competenza per far calare un allarme sociale e far sì che le problematiche scolastiche vengano risolte all'interno della scuola stessa".
di Anna Maria De Luca

lunedì 19 dicembre 2011

Sospendiamo l'Invalsi? Finché non sarà chiarito il suo ruolo? E non avremo obiettivi comuni da testare?

ITALIA SCUOLA - Occorre dare atto al Ministro Profumo di avere cominciato... ad "aprire la borsa"! Era il mio auspicio nella lettera aperta dello scorso 19 novembre! Infatti, è di questi giorni la sottoscrizione del Patto d'azione e coesione con cui verranno investiti nelle scuole del Sud 1,3 miliardi di fondi europei. Si tratta di una iniziativa che segna una svolta riguardo alla politica dei tagli! Ma ora la buona volontà del ministro si deve misurare su un'altra questione, quella di cui alla citata lettera aperta: le prove Invalsi. Che fare?
Non ritorno a tutto ciò che ho già detto in merito alla valutazione di sistema, come sia stata concepita e delineata nella legge 53/03 e come da questa sia discesa tutta la macchina Invalsi. Mi limito ad alcune considerazioni e ad alcuni interrogativi. Forse sarebbe necessaria una riflessione complessiva - e non solo da parte mia - su che cosa si intende per valutazione di sistema e, di conseguenza, sulle scelte effettuate dalla nostra amministrazione.
Ma preferisco entrare nel merito e vado direttamente a quanto dettato dall'articolo 3 della citata legge 53/03, relativo alla "valutazione degli apprendimenti e della qualità del sistema educativo di istruzione e di formazione" (professionale regionale, n.d.a.). Al punto a) si afferma che la valutazione degli apprendimenti è di competenza dei docenti. Si ribadisce per altro quanto è detto nel comma 4 dell'articolo 4 del dpr 275/99, in cui leggiamo che le istituzioni scolastiche "individuano le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale". Al punto b) si afferma testualmente che "ai fini del progressivo miglioramento e dell'armonizzazione della qualità del sistema di istruzione e di formazione, l'Invalsi effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle istituzioni scolastiche e formative". Con tale assunto si rende operativo quanto affermato nel dpr 275/99, art. 10, comma 1: "Per la verifica del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento e degli standard di qualità del servizio, il Ministero della Pubblica Istruzione fissa metodi e scadenze per rilevazioni periodiche".
Eravamo all'inizio degli anni 2000 e giungevamo allora pressoché ultimi in Europa a queste innovazioni! Da noi si cominciava a parlare allora timidamente di competenze e ancor più timidamente di valutazione di sistema. In effetti, di competenze al punto b) del citato articolo non c'è traccia tra gli oggetti da rilevare da parte dell'Invalsi, ma si insiste sulla necessità di verificare la qualità complessiva dell'offerta effettuata dalle istituzioni scolastiche.
Ritornando all'epigrafe del citato articolo 3, si individuano due oggetti da valutare, gli apprendimenti e la qualità del sistema. E mi chiedo: esiste una differenza tra gli apprendimenti raggiunti dagli alunni e la qualità del sistema? Indubbiamente sì! Gli apprendimenti sono la risultante del sistema, la più importante, le finalità stesse per cui il sistema è stato creato! Ma vanno considerati i fattori costitutivi del sistema, ad esempio l'insieme delle risorse finanziarie, strutturali e umane, l'efficacia e l'efficienza dei rapporti tra istituzioni scolastiche e altri soggetti: quali l'amministrazione scolastica decentrata, gli Usr e gli Usp (il Miur, com'è noto, in forza della governance, non ha più un rapporto diretto con le scuole), le Regioni e gli Enti locali, che hanno ampio titolo in materia di programmazione della rete scolastica, certe istituzioni del territorio, il mondo del lavoro, le dotazioni e le attrezzature degli edifici scolastici, il livello dell'offerta di istruzione erogata dagli insegnanti, per citare i più significativi. E va anche considerato l'apporto delle "valenze educative" del territorio... per non dire che a volte pesano, e non poco, le valenze diseducative!
Ora, se agli insegnanti si chiede di erogare istruzione e valutare apprendimenti, a un istituto di valutazione di sistema si dovrebbero affidare altri compiti, di indagare sull'insieme dei legami che corrono tra istituzioni scolastiche e tutti gli altri fattori, di cui gli apprendimenti sono solo una risultante. In effetti, l'esito negativo di un apprendimento - è notorio - non è detto che derivi necessariamente o soltanto da un insegnamento non efficace: ormai la letteratura in materia dei fattori che concorrono e incidono sugli apprendimenti è vastissima.
Eravamo agli inizi del 2000 e, forse, oggi non scriveremmo più quel comma in quel modo. In effetti, con quel dettato, a valutare gli apprendimenti intervengono due soggetti, gli insegnanti prima e l'Invalsi dopo. Ma ha un senso questo doppio intervento? Si intende, forse, mettere in dubbio, l'operato degli insegnanti? Certamente, non voleva essere questo l'intento della norma, perché le "verifiche periodiche e sistematiche" effettuate dall'Invalsi potrebbero avere come oggetto le valutazioni prodotte dagli insegnanti e dalle istituzioni scolastiche, o un insieme di prove proposte e valutate dagli insegnanti, sulle quali condurre un "ragionamento" più complessivo, più che una seconda valutazione in senso stretto su prove "altre". Il che per verificare quali condizionamenti extrascolastici hanno portato a quegli esiti in termini di apprendimenti e perché: rilevare quindi qual è il prodotto delle singole scuole sull'intero scacchiere nazionale, quale differenze si rilevano tra scuole e territori, insomma tutto ciò che riguarda l'esito di una ricerca censitaria, indubbiamente anche utile e necessaria. Però!!!
Di qui il però: a che serve portare vasi a Samo? Perché portare nuove prove laddove già se ne producono quotidianamente? Non sarebbe stato sufficiente censire gli esiti degli apprendimenti già largamente documentati dalla scuole stesse su registri degli insegnanti, pagelle e registri degli alunni? Ed è proprio qui il punctum dolens! Il fatto è che l'azione di un'istituzione che attende alla valutazione di sistema dovrebbe riguardare i fattori che soggiacciono a determinati esiti in materia di apprendimento. Quali apprendimenti emergono da un contesto debole e povero sotto il profilo socioculturale, amministrativo, strutturale, ecc? Quali, invece, da un contesto ricco? E perché? E come bisogna intervenire per le correzioni del caso? Si deve intervenire direttamente sul contesto - e sarebbe auspicabile - oppure sull'istituzione scolastica, rafforzandola nelle sue risorse e strutture perché l'offerta formativa abbia successo? Interrogativi di non poco conto! E non è detto che vi sia sempre un nesso diretto e incontrovertibile tra contesto e prodotto. Ed è su questi legami che poi si potrebbe intervenire con tutte le riflessioni e le iniziative del caso. Allora soltanto il decisore politico potrebbe scegliere se, come e perché intervenire a correggere, aiutare o a gratificare! In effetti, una valutazione di sistema dovrebbe concorrere proprio a questo: sostenere il decisore politico nelle sue azioni, indicare modifiche, se necessario, per quanto riguarda le sue scelte a qualunque livello deliberativo.
Vi è un'altra considerazione da fare: si sostiene che l'Invalsi, dopo le sue rilevazioni, è in grado di comunicare alle singole istituzioni scolastiche in che cosa eccellano, in che cosa difettino, ma... A questo punto occorre fare una riflessione: le prove predisposte dall'Invalsi su quali obiettivi di apprendimento (non scendiamo nella distinzione tra conoscenze, abilità e competenze, che complicherebbe il discorso) sono costruite? In effetti, per tutte le prove somministrate in primavera l'area della indeterminazione è immensa. E per più ragioni.
Per quanto riguarda il primo ciclo di istruzione, è più che noto che sono sul campo più opzioni da parte delle singole scuole: le Indicazioni nazionali della Moratti e le Indicazioni per il curricolo di Fioroni, ambedue vigenti e, ovviamente, diverse le prime dalle seconde sia per la definizione e la scansione dei contenuti che per gli obiettivi perseguiti: le prime afferiscono a indeterminati "piani di studio personalizzati", le seconde ad altrettanto indeterminati "traguardi per lo sviluppo delle competenze". Per non dire che sono tuttora presenti nelle scuole richiami ai programmi dell'85 per la scuola primaria e a quelli del '79 per la scuola media; e che è anche vigente il dpr 89/09, "revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione". Questa varietà e indeterminatezza della proposta ministeriale rende variabili e indeterminati anche gli obiettivi perseguiti e conseguiti dalle singole scuole e dai singoli insegnanti. Infatti, si verifica che nelle stesse classi di diversi istituti si sono raggiunti per il giorno della prova Invalsi obiettivi diversi.
Per quanto riguarda il secondo ciclo, l'indeterminatezza sarebbe meno grave, ma ad una condizione: che tutte le scuole perseguano coerentemente gli obiettivi proposti dal dm 139/07, relativo all'innalzamento dell'obbligo di istruzione, in cui sono chiaramente indicate le competenze proposte sia per la lingua italiana che per la matematica. Infatti, com'è noto, la "cultura di un obbligo a 16 anni" - se si può dire così - non è passata nella medesima misura in tutte le scuole. Per cui, i livelli di competenza raggiunti - e siamo a maggio - sono estremamente diversificati.
Per la prova somministrata alla fine della terza media vale lo stesso discorso. Non solo pesa l'indeterminatezza della proposta ministeriale, ma accade anche che le scuole siano chiamate a certificare competenze da loro "liberamente" adottate. Chi ha un po' di dimestichezza in materia di competenze sa che queste non possono essere "inventate" da chicchessia! Occorre sempre un ente terzo che dichiari quali competenze debbano essere perseguite, accertate e verificate. Nessuno può "inventare" quali siano le competenze di un cuoco o di un pianista, di un barbiere o di un avvocato! Per non dire poi che parlare di competenze che abbiano una loro credibilità e una loro concretezza prima del conseguimento dell'obbligo di istruzione è una cosa tutta da verificare: ma questo sarebbe un altro discorso, sul quale chi ha autorità in materia dovrebbe esprimersi. In conclusione, anche la prova Invalsi alla fine della terza media rischia soltanto di alterare nel più o nel meno giudizi già di fatto espressi dagli insegnanti di classe e dalle commissioni d'esame.
Occorre anche considerare che queste difficoltà sono anche profondamente avvertite dagli stessi insegnanti, i quali vedono nelle prove Invalsi non un sostegno al proprio lavoro, ma una indebita interferenza. Ed è per queste ragioni che la maggioranza delle scuole o si rifiuta di "collaborare" con l'Invalsi per tutta una serie di ragioni che hanno sempre fondamenti giustificati, oppure "esegue il compito" per senso del dovere ma con grande disappunto! Ma c'è di più, e ciò è ancora più grave: che la prova Invalsi finisce con il costituire il modello a cui ispirare tutta l'attività dell'insegnante. Di fatto costui, invece di progettare la sua azione in ordine alle finalità e agli obiettivi generali del sistema di istruzione (nello specifico, gli articoli 1 e 8 del dpr 275/99), per altro estremamente ondivaghi nelle norme che si sono avvicendate nell'ultimo decennio, la progetta in ordine a "quella" specifica prova Invalsi. E va aggiunto che la genericità delle norme vale anche per chi costruisce la prova: l'Invalsi non è immune da tale genericità, e le sue prove fanno aggio più sul buonsenso del consumato insegnante che su determinati obiettivi di apprendimento.
Da quanto esposto risulta evidente che su tutta questa materia occorre fare anzitutto chiarezza. A che punto è l'"armonizzazione" delle Indicazioni della Moratti e di quelle di Fioroni, a cui sta lavorando una commissione ad hoc presso il Miur? Infatti, solo a lavoro compiuto potremmo disporre di obiettivi specifici di apprendimento univoci da proporre ad alunni, insegnanti ed esperti Invalsi. Analogo discorso vale per il biennio dell'obbligo, nella misura in cui "l'equivalenza formativa di tutti i percorsi" verrà veramente assicurata, come recita il comma 2 dell'articolo 2 del dm 139/07. E, per quanto riguarda i trienni successivi, va considerato che andranno a regime dal prossimo anno sia le Indicazioni nazionali dei licei che le Linee guida degli istituti tecnici e professionali.
Insomma, siamo di fronte a tante tessere di un mosaico che ancora non hanno trovato la loro corretta collocazione. Ed è difficile che in una situazione ancora in movimento si possano condurre rilevazioni attendibili! Al limite, solo quando si avranno certezze sugli obiettivi da testare - e che siano i medesimi per le istituzioni scolastiche e per l'Invalsi - si potrebbe riproporre l'opportunità che insegnanti e Invalsi insistano a valutare i risultati finali di dati apprendimenti. Ma è un discorso in divenire, anche perché va anche considerato come le stesse prove Invalsi abbiano suscitato più di qualche dubbio circa la loro correttezza docimologica.
Per concludere, ciò che oggi pesa di più è la politica dei tagli indiscriminati, degli accorpamenti e delle comprensivizzazioni forzate, nonché la precarietà che caratterizza il lavoro in molte scuole: sono tutti fattori che non favoriscono l'esercizio di una didattica ottimale. E' l'insegnante stesso a reclamare: "Ma perché vuoi valutare il mio operato, se prima non mi metti in condizione di esercitare al meglio la mia professione?"
E allora, per tutta questa serie di ragioni, non sarebbe il caso di sospendere la somministrazione delle prove Invalsi finché l'intero assetto ordinamentale, le finalità e gli obiettivi del sistema di istruzione non siano stati definiti con la chiarezza che è necessaria? Prima diamo alle scuole certezze in ordine alle finalità e agli obiettivi del sistema di istruzione, eroghiamo i fondi necessari per garantire loro un buon funzionamento, poi controlliamo se e come il sistema procede e in che cosa occorre sostenerlo!

Maurizio Tiriticco
18/12/2011

giovedì 8 dicembre 2011

Disturbi Specifici Di Apprendimento Di Tipo Non Verbale

Di Che Cosa Si Tratta
I disturbi specifici di tipo non verbale molte volte producono conseguenze sulle competenze scolastiche e molto spesso possono determinare difficoltà simili a discalculia, aprassia, o difficoltà di problem solving geometrico. Tra i disturbi dell’apprendimento, quello di tipo non verbale è il meno studiato, tra i pochi studi recenti quelli più importanti sono quelli di Rourke che ha definito i disturbi specifici dell’apprendimento di tipo non verbale come Sindrome Non Verbale. Attraverso l’analisi delle prestazioni, dei comportamenti e analisi neurologiche di soggetti con questo disturbo, Rourke ha individuato 10 caratteristiche essenziali che li contraddistinguono:
  • Problemi di tipo percettivo e tattile (soprattutto nel lato sinistro del corpo). È assente una buona elaborazione percettiva non a livello di integrazione logica ma di elaborazione degli stimoli sensoriali.
  • Problemi di coordinazione psicomotoria, si tratta di soggetti incapaci e lenti nel compiere movimenti.
  • Deficit visuo-spaziali; i soggetti presentano problemi di memoria di lavoro, in particolare deficit riguardanti il taccuino visuo-spaziale. Se si chiede a questi soggetti come scrivere una F rovesciata, essi devono compiere più passaggi come ricordare come è fatta la lettera, immaginare di ruotarla a 180°, immaginare come scriverla e poi scriverla. Per verificare queste difficoltà si può usare il test PMA e il test MF delle prove per l’impulsività, in quanto si chiede di individuare una figura uguale a quella target e ciò significa non essere impulsivi ed elaborare gli stimoli a livello visuo-spaziale.
  • Problemi con compiti cognitivi e sociali di tipo non verbale. I soggetti cioè non sono in grado di costruirsi mappe mentali né di elaborare correttamente la percezione. Non poter risolvere compiti sociali di natura visuo-spaziale significa non capire i gesti, le espressioni che accompagnano un discorso, quindi non interpretare la pragmatica della comunicazione.
  • Buona memoria verbale semantica. L’aspetto verbale risalta in modo evidente rispetto alle altre capacità che al suo confronto risultano ridotte. I soggetti sono in grado di ricordare molto bene i testi ed amano imparare a memoria.
  • Evidenti difficoltà in aritmetica e discreto successo nella lettura e scrittura, ad eccezione dell’aspetto grafico che risulta compromesso.
  • difficoltà di adattamento a situazioni nuove. Le situazioni sconosciute richiedono una serie di elaborazioni a livelli diversi, tra cui una elaborazione anche visuo-spaziale, quindi questi soggetti amano molto le routines e le situazioni statiche.
  • Verbosità, sono soggetti che parlano molto.
  • Deficit di giudizio sociale, i soggetti hanno una incapacità di interpretare adeguatamente delle regole, non sanno cogliere la pragmatica del discorso, sembrano sempre inadeguati rispetto al contesto.
  • Discrepanza significativa tra Q.I. verbale, buono, e Q.I. di performance , sotto la media.
Tra le altre caratteristiche si riscontra una condotta simile a quella dei bambini iperattivi disattenti, difficoltà di tipo sociale rendono i soggetti simili ai bambini artistici ad alto funzionamento, i problemi di tipo emotivo nati dalle difficoltà sociali con il passare del tempo si aggravano sfociando a volte in crisi depressive, tendono cioè a chiudersi in loro stessi evitando il contatto sociale che invece li aiuterebbe a livello di esercizio di competenze pragmatiche.
Le difficoltà scolastiche più evidenti si riscontrano nel disegno, soprattutto geometrico, nell’incolonnamento dei numeri, nel ricordo dell’ordine spaziale delle procedure di calcolo, nella rappresentazione dei problemi e dei contenuti dei testi descrittivi, difficoltà di rappresentazione dei contenuti dei testi argomentativi se richiedono la costruzione di un modello mentale di tipo visuo-spaziale. è possibile che l’esordio si caratterizzi per difficoltà di lettura e scrittura, tali difficoltà scompaiono a partire dalla terza elementare per lasciar emergere, in modo sempre più rilevante, le difficoltà aritmetiche.
A livello neuropsicologico è stata riscontrata una disfunzione e una compromissione della materia bianca a livello delle fibre lunghe mieliniche, probabilmente in questi soggetti vi è una ridotta funzionalità dell’emisfero destro implicato nel controllo emotivo e nelle attività non verbali, per questo motivo si parla anche di Sindrome Cerebrale Destra.Dal quadro descritto risultano compromesse aree scolastiche su cui intervenire clinicamente ed educativamente: scrittura strumentale, disegno, calcolo, geometria, scienze, comprensione del testo, geografia. Quelle che il bambino si porta dietro più a lungo e gli causano più problemi sono le difficoltà sul versante affettivo-relazionale e sociale, connesse anche a tutta una serie di problemi motivazionali rispetto allo studio.
La Diagnosi
La diagnosi di secondo livello andrà dunque ad indagare in maniera approfondita la discrepanza tra abilità linguistiche (conservate) e visuo-spaziali (compromesse), valutata attraverso la somministrazione della WISC-R; il deficit nella memoria di lavoro visuo-spaziale, l’alterazione della velocità e della correttezza nella processazione dello stimolo visivo, l’alterazione dei processi di attenzione visiva, l’associato disturbo di apprendimento nelle abilità di calcolo e/o soluzione di problemi.
La sala WISC-R misura più fattori o attitudini attraverso subscale diverse:
Q.I. Verbale: informazioni, somiglianze, aritmetica, vocabolario, comprensione. (in una sindrome non verbale possiamo attenderci un Q.I. verbale abbastanza buono con una caduta significativa rispetto alle altre nella prova di aritmetica).
Q.I. di Performance: completamento di figure, storie figurate, disegno con i cubi, ricostruzione di figure, cifrario. (sempre nella sindrome non verbale avremo drastiche cadute nel disegno con cubi e nella ricostruzione di oggetti, rimarrà abbastanza preservata la capacità di leggere storie figurate).
Una significativa discrepanza (dai 10 punti si inizia ad essere sospettosi) a favore del Q.I. verbale piuttosto che del Q.I. di Performance può far nascere il sospetto di una sindrome non verbale. Per compiere un approfondimento che indichi con certezza se il bambino presenta una sindrome non verbale si può sottoporlo al VMI (Visual Motor Integration), al MMFT (matching multiple figure test) o alla ricopiatura della “figura di Rey”.
Nel VMI si chiede al bambino di copiare dei disegni target in alcuni spazi vuoti, disegni che vanno da singole linee a figure più complesse. Successivamente l’operatore valuta se dare 1 punto nel caso che il disegno sia ritenuto giusto o 0 punti nel caso sia ritenuto errato. La prova è ritenuta esaustiva se il soggetto sbaglia 3 disegni consecutivi anche se è consigliabile lasciare che il bambino completi la prova.
Disturbo Non Verbale Di Tipo Motorio
In ambito clinico è stato molto usato il termine disprassia per indicare soggetti con gravi difficoltà di coordinazione motoria, in particolare si è ritenuto che la prassia distorta fosse riferita ai movimenti fini degli arti superiori. Con gli studi più recenti si è arrivati a comprendere il più corretto utilizzo di termini come disturbo di sviluppo della coordinazione motoria, o anche disturbo specifico evolutivo della funzione motoria. Ciò sottolinea come la componente della coordinazione non sia qualcosa che è stato raggiunto e poi perso ma un aspetto che non si è mai sviluppato. Dobbiamo dunque ricordare che non ci sono motivazioni biologiche che impediscono la coordinazione, ma che è a livello cognitivo che il soggetto non è in grado di pianificare ed immaginare i movimenti adatti. I disturbi della funzione motoria sono per certi aspetti simili e per altri diversi dalla sindrome non verbale, la loro diversità consiste in una mancanza dell’aspetto affettivo-relazionale, presenza di buoni risultati alle prove di tipo percettivo, risultati scolastici che possono anche non essere gravi rispetto alla generale gravità della coordinazione, non grave compromissione cognitiva.

Scuola, da metà gennaio pronta una “carta d’identità”

(07 Dicembre 2011) ROMA – Ogni anno il dilemma dei genitori e figli è la scelta della scuola da frequentare. Che sia elementare, media o superiore ci si chiede sempre se sia una scuola valida, se gli insegnanti siano competenti, se la struttura è idonea o quante attività e laboratori siano previsti durante l’anno scolastico. Ora questo non sarà più un problema: da metà gennaio sul sito del Ministero dell’Istruzione sarà disponibile una sorta di carta d’identità di ogni scuola. Una scheda ricca d’informazioni circa l’istituto scolastico.

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Docenti, classi, laboratori, palestre, pc, ecc. queste e molte altre le informazioni che ciascuna scuola s’impegnerà a trasmettere al Ministero entro gennaio. Il Miur (Ministero dell’Università e della Ricerca) eserciterà una “moral suasion” al fine di indurre ciascun istituto ad assumere un comportamento moralmente e socialmente corretto per il miglioramento della scuola italiana e per una scelta consapevole di studenti e genitori. I dati tecnici, relativi a materiali e attività scolastiche, saranno visibili a tutti, mentre i dati sugli esiti di esami e prove Invalsi o sulle assenze e gli abbandoni, che meglio attestano l’andamento medio scolastico, dovranno essere autorizzati dai dirigenti delle scuole.
«In vista delle prossime scadenze relative alle iscrizioni, il Miur – ha sottolineato il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo – renderà quindi disponibili i dati in possesso del sistema informativo e lascerà alle scuole, nella loro autonomia, l’inserimento di tutti quei dati relativi ai risultati delle valutazioni degli apprendimenti e dell’offerta formativa».
Il progetto denominato “Scuola in chiaro” si aggiunge a un servizio già esistente sul sito del Ministero che permette di cercare la scuola più vicina alla propria abitazione, una sorta di anagrafe delle scuole statali. La ricerca è sia geografica sia per tipologia o anche per denominazione e guida l’utente a cercare l’istituto desiderato.
Cliccando sul codice si ottengono tutte le informazioni anagrafiche della scuola, denominazione, via e recapiti telefonici. Con la nuova applicazione sarà invece possibile ottenere le informazioni specifiche relative alle attività scolastiche.
Già all’inizio dell’anno il Ministero dell’Istruzione ha reso obbligatoria la compilazione dei POF (Piani dell’offerta formativa): documenti di identità che indicano le linee distintive dell’istituto, l’ispirazione culturale-pedagogica che lo muove, la progettazione curricolare, extracurricolare, didattica ed organizzativa delle sue attività.
Un’iniziativa che fu oggetto di polemiche perché costringe al costante monitoraggio il lavoro di insegnanti e studenti.

lunedì 5 dicembre 2011

Quando la scuola non capisce la diversità

Il Gazzettino del 04-12-2011

LETTERE AL DIRETTORE. Pubblichiamo questa lettera inviata da una ragazza alla sua professoressa.
Cara prof,
ieri ho preso il primo quattro della mia vita, in matematica addirittura;deve sapere che non sono arrabbiata, sono solo molto triste.
Quando l’ho scritto nel libretto ho pensato che nonostante io studi, mi impegni al massimo e faccia sempre i compiti a casa, non riuscirò mai a capire quei maledetti testi dei problemi:quei numeri messi lì in mezzo a tutte quelle parole ingannevoli e subdole.
Dopo quasi tre mesi che Lei è la mia nuova prof e volevo dirle che per me la lingua italiana è come l’Everest e io sono appena partita per la scalata.
Volevo dirle che sono nata sorda, già non come il nonno che è diventato sordo e porta l’apparecchio acustico, io non ho mai sentito una parola e quelle che conosco le ho imparate a memoria, con enorme fatica.
Volevo dirle che per me i numeri sono magia, quelle espressioni che da una riga si riducono ad un numero per me non hanno misteri. La matematica traduce perfino in simboli le parole e io anche per questo sono sempre andata d’accordo con questa materia.
Ora penso, il quattro a cosa serve? A dirmi che se non mi traducono in segni (LIS) o con grafici e disegni i problemi non so come risolverli? Lo sapevo già!
A dirmi che non so l’italiano? Ma dai…
A dirmi che non sono intelligente? Non ci credo…
Penso che il quattro non servisse a me, ma a Lei; voleva darmelo per dimostrare la sua teoria che io non ce la farò mai a superare questo handicap della lingua italiana e forse è vero.
Di una cosa fondamentale però non si è resa conto: se io non riuscirò sarà anche a causa sua che non sente ragioni su come si fa scuola ad un sordo.
Questa lettera non l’ho scritta io, come Lei ben sa, non ne sarei in grado; l’ha fatto mia madre che ha trascritto le mie emozioni, quelle che ieri ho condiviso con lei attraverso quella lingua che si parla con le mani (molto disdicevole, vero?) e che Lei dice non sia in grado di comunicare qualsiasi cosa.
Questa è la dimostrazione che forse Lei ha torto e la tristezza che mi ha provocato con quel quattro mi fa capire che sono diversa, diversa dagli altri e soprattutto diversa da li.
Giulia C. - Fiume Veneto (Pn)
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Cara Giulia,
vorrei non dover mai leggere né pubblicare storie come questa. Come forse sai, la tua lettera, era accompagnata da una breve nota della tua mamma. Sottolineava come se è vero che, in questi momenti, la vita per molti sia particolarmente dura, per alcuni lo è tutti giorni, nelle piccole come nelle grandi cose. Non credo ci sia null'altro da aggiungere.

domenica 4 dicembre 2011

Quando la dislessia condiziona la vita

 da Rossellagrenci
QUANDO LA DISLESSIA CONDIZIONA LA VITA
Oggi nella pagina delle Testimonianze ho trovato questo commento che ho deciso di pubblicare. E’ la storia di una ragazza dislessica, ora 24enne.
Mi è sembrato importante perchè, come ben conclude la sua lunga testimonianza, si capisca che la dislessia non condiziona solo gli apprendimenti scolastici, soprattutto quando si “incontra gente ignorante”, come dice lei stessa. Questo a conferma di un ennesimo episodio increscioso avvenuto nella mia città a discapito di un ragazzino con difficoltà scolastiche, di cui se ne è parlato su Facebook.
A voi il racconto di S.:
Salve, sono una ragazza di 24 anni dislessica pura, disortografica, disgrafica e con problemi pure di discalculia. Mia mamma dopo aver sentito questa diagnosi, si è davvero spaventata, le avevano detto che non sarei mai riuscita a leggere. I segnali, che fecero capire a mia mamma che qualcosa non andava, erano tanti: non si capiva nulla di quello che dicevo, scrivevo all’incontrario, non riuscivo a leggere l’orologio, ad allacciarmi le scarpe, confondevo la destra con la sinistra ecc. Purtroppo, ho avuto una vita scolastica turbolenta, mi hanno affiancato un insegnante di sostegno alle elementari, le insegnanti mi chiamavano handicappata davanti ai mie compagni, che si divertivano a seviziarmi: mi picchiavano (mi hanno anche buttato giù dalle scale), ritornavo a casa piena di lividi, mi sfottevano, nessuno voleva giocare con me. Nell’ora di ginnastica, nessuno mi voleva in squadra. E come se non bastasse, i genitori dei mie compagni, chiesero che io me ne andassi da quella classe, perchè essendo handicappata, distraevo tutti i loro figli dall’apprendimento. Mia mamma, cercò in tutti i modi di farmi cambiare scuola, ma la preside si opponeva, quindi passai in quella terribile scuola 5 anni di torture. Una volta, mi difesi; un bambino cercò di picchiarmi, e io gli graffiai la faccia, mi mandarono dritta in presidenza. Tutti i giorni uscivo prima da scuola, andavo in un centro per bambini con problemi, lì non facevo nulla, anzi, le logopediste che mi seguivano non sapevano nemmeno cosa avessi, pensavano fossi ritardata, infatti mi davano della handicappata in mia presenza. Chiesi a mia mamma, di non mandarmi più in quel posto orribile, e lei per fortuna accondiscendette. A scuola, la maggior parte delle ore, le passavo nell’auletta degli handicappati, insieme a bambini con la sindrome di Down, secondo i miei insegnanti non mi meritavo di imparare niente. Ho sempre imparato da sola, visto questa chiusura del mondo scolastico nei miei confronti, mi prendevo dei libri e studiavo da me: quanti libri ho letto (si ho detto letto, perchè nel giro di un mese di sforzi, leggevo alla perfezione) in quel periodo: cuore, il piccolo principe ecc. robe che i miei compagni delle elementari si sognavano. Andavo bene a scuola, tutti buoni, distinto e ottimo, nonostante tutto. Sapevo fare dei ritratti alle persone perfetti, li conservo ancora, e non sembrano fatti da una bambina di 9 anni. Alle medie, per fortuna non ho più l’insegnante di sostegno, però ancora tutti mi evitano, e mi sfottono. Ancora prendevo bei voti, tutti buoni e distinto, a parte nei temi dove prendevo sempre l’insufficenza lieve, ma comunque mi riuscivo a sollevare anche in italiano, perchè poi nelle comprensioni del testo e in grammatica prendevo sempre ottimo. Nonostante i mie buoni voti, per 2 volte cercarono di bocciarmi, per problemi relazionari. In terza media, alla scelta della scuola superiore, mi consigliarono di lasciare la scuola, e di fare un corso per diventare vetraia. Ma io che sono sempre stata caparbia, me ne sono fregata e mi sono iscritta al liceo artistico, andando però contro la mia volontà, infatti volevo fare lo scientifico per poi prendere medicina, ma pensavo che per me fosse troppo difficile (nonostante in matematica e scienze avessi ottimo) . Al liceo le cose sono andate molto meglio, non avevo amici veri, però uscivo ogni tanto e nessuno mi prendeva in giro, anzi ero stata accettata, anche con i professori mi sono trovata bene. Purtroppo, avendo difficoltà nel parlato, relazionarmi per me è sempre stata un’impresa, oltretutto i dislessici gravi, hanno anche sempre un aspetto infantile e spaesato, che ci impedisce di essere presi sul serio dalla gente. Arriva il momento di iscriversi all’università, non avevo mai avuto dubbi, che mi sarei iscritta, però in quale facoltà, fin da bambina avrei voluto tanto fare il medico, ma avevo fatto l’artistico… e il test d’ingresso mamma mia, non lo avrei mai passato. Quindi da brava stupida, mi sono iscritta a farmacia. Gli esami li passo molto facilmente, anzi mi accorgo che i miei colleghi non dislessici gravi e usciti dallo scientifico, non se la cavano molto bene come me. Quindi incomincia a rinascere in me la voglia di fare medicina, ma ormai al terzo anno, penso che mi conviene laurearmi prima li. Ancora non ho amici, solo conoscenze superficiali, anche perchè, la mia parlantina è tutt’altro che fluente, e inoltre ogni volta che invio un messaggio, subito mi becco dell’analfabeta che passa gli esami perchè raccomandata, i più cafoni mi danno della minorata mentale. Avevo facebook, me lo sono tolto perchè ricevevo messaggi minatori, di miei compagni universitari, che mi sfottevano per i miei errori ortografici, per come parlavo e per la mia area spaesata. Mi hanno fatto anche molti scherzi, alcuni molto pesanti, anche perchè alcuni avevano scoperto che ero dislessica. Mi hanno incoronata regina delle deficienti di farmacia su facebook, mi hanno fatto ritrovare la mia sciarpa piena di sostanze chimiche (argento nitrato, impossibile da togliere) ecc. la lista è lunghissima. Ora mi manca un’esame alla laurea, e quest’anno ho tentato finalmente il test di medicina (non passato per pochi punti), l’hanno prossimo lo ritenterò nuovamente (devo togliermi questo sfizio), però senza applicare le nuove leggi per i dislessici, perchè ho fatto sempre da sola, e perchè non mi conviene farmi dei nemici anticipatamente, un dislessico dichiarato viene distrutto fidatevi, sopratutto, se ha a che fare con gente ignorante, che pensa che dici che sei dislessico per impitosire, e per farti aiutare (per loro imbrogliare). Non ho certo avuto esperienze positive, anzi il mio racconto è surreale, non penso che mi crederete. Anche in ambito lavorativo, i dislessici trovano dei muri: sono entrata a lavorare in ambito scolastico come insegnante (mentre frequentavo l’università) solo perchè mia mamma è insegnante. Poi ho fatto solo qualche lavoretto, ma poco perchè con la mia aria da svampita è difficile, sopratutto in questo periodo in cui fanno fatica tutti. Il fidanzato non lo ho, nessuna relazione, solo qualche corteggiatore e nessun amico vero, anche se pratico sport quotidiatamente, e quindi frequentando altri ambienti. Molte cose le ho saltate, in realtà la mia storia è ancora più tragica. Ho scritto questo post, perchè non sempre è facile capire come vive un dislessico grave, di solito oltretutto ci si ferma solo all’ambito scolastico, dimenticandosi che un dislessico incontra muri in tutti i campi della vita quotidiana, non perchè abbia dei veri problemi, ma perchè la gente è ignorante.

martedì 29 novembre 2011

Interpretazione del colore. I disegni dei bambini

Questa è la seconda parte della Guida All’Interpretazione dei Disegni del Bambino: I bambini sono incapaci inizialmente di finalizzare l’uso del colore in senso realistico o artistico, e spesso usano i colori sotto la spinta di risposte emotive. Anche la scelta dei colori è un tema che ha affascinato gli studiosi e anche in questo caso si è giunti a una classificazione standardizzata della simbologia legata ai colori fino alla costruzione di strumenti  di descrizione e introspezione della personalità (Luscher, 1976).
Per Lüscher, il test dei colori offre uno strumento di valutazione dell’individuo per quello che realmente è, poiché questo tipo di test non risente di quegli ostacoli che normalmente possono invalidare un questionario o un’inchiesta, come, ad esempio, le false risposte dovute all’alta desiderabilità sociale, ecc.
Nella psicoanalisi induttiva la trasduzione cromatica, ossia l’applicazione emotiva del colore, configura un metodo proiettivo che rivela una situazione emozionale del bambino in base alla presenza, la combinazione o l’assenza del colore. In sintesi le porte d’entrata nell’esplorazione della psiche del bambino. Per una corretta interpretazione il piccolo deve avere a disposizione 8 colori principali; blu, giallo, verde, rosso , viola, nero, marrone, grigio.
Bisogna fare attenzione ; – collocazione dei colori sul disegno – dominanza del colore su vari soggetti ed oggetti – prevalenza dei colori sul disegno – limitazione dei colori a disposizione Nella scelta dei colori se il bambino si limita a 4 colori è indice di poco stimolo.
La prevalenza dei colori caldi (giallo, rosso e arancione) esprimono stimoli positivi e caratteri irrequieti ed espansivi al limite dell’aggressività. Se adoperati in modo eccessivi si evince il desiderio di accentrare l’attenzione su di se. Quelli freddi (violetti, blu e verdi) indicano caratteri pacati, riservati, tranquilli. Se adoperati in modo eccessivo si evince insicurezza, chiusura, timidezza.
Se il piccolo tende ad escludere costantemente il rosso ed il giallo è indice di un momento di stanchezza. Il blu ed il verde associati spesso indicano controllo delle proprie azioni. Inoltre predisposizione per le materie scientifiche. Il rosso, l’arancione, il marrone sono indice di grossa istintività e predisposizione per le materie artistiche. Nello specifico:

-Blu; esprime serenità, calma, predisposizione gesti affettuosi. Se è dominante un forte autocontrollo.
-Giallo; coerenza con le proprie scelte, costanza, determinazione. Se è dominante può essere indice di un rapporto difficile con il papà. (attenzione se è dominante in concomitanza con la nascita di un fratellino è indice di gelosia).
-Marrone; esprime gioia, periodo felice. Se è dominante è indice di chiusura. Se è dominante sulle persone e sulla casa esprime tristezza. Attenzione se disegna l’albero tutto marrone (radici-tronco-chioma) è indice di conflitto e incomprensione con la mamma. Se disegna il sole marrone e questo colore è dominanante nel contesto carenza di affetto da parte del papà.
-Nero; esprime ansia, paure, dolore. Se è dominante  indica un atteggiamento estremo di rinuncia ai rapporti familiari e cova un pensiero di abbandono. (vedi sindrome d’abbandono)
-Rosso; esprime vivacità, energia, voglia di fare. Se è dominante è indice di ostilità, aggressività. Il sole rosso è indice di astio nei confronti del papà. Se disegna tutta la famiglia in rosso rabbia repressa. Tronco e chioma dell’albero in rosso crescita sessuale.
-Verde; esprime la crescita interiore, maturità, equilibrio. Se è dominante è indice di pigrizia, passività. Se disegna l’albero con radice tronco marrone e grossa chioma interamente in verde significa armonia familiare e sociale (a scuola per esempio).
-Viola; esprime un carattere poco razionale e molto fantasioso. Se disegna il tetto della casa interamente in viola è indice di un eccessivo carico di responsabilità o do studio. Se è dominante può anche portare all’incapacità di distinguere, e di qui fino all’irresponsabilità. La scelta di questo colore dimostra che per loro il mondo è un luogo magico, in cui possono ottenere tutto ciò che desiderano: stato d’animo che ha certo un suo fascino, ma che non è bene se persiste nell’età adulta. La scelta del violetto indica una tensione prolungata, le conseguenze di uno choc, o di situazioni difficili vissute in tutta la prima infanzia. Si tratta di soggetti che necessitano di una comprensione particolare, di un trattamento pieno di riguardo e di molto affetto.
-Grigio; esprime chiusura, difesa (alzano un muro)  rifiuto di impegnarsi per proteggersi da ogni stimolo e da qualsiasi influenza familiare, Non desidera lasciarsi coinvolgere, e rinuncia a qualsiasi partecipazione. Se è dominante è indice di atteggiamento di protesta e di insoddisfazione.
Attenzione se il piccolo disegna i pesci in grigio è indice di carattere chiuso, evitante. Se disegna il fumo del comignolo marcatamente in grigio è indice di ansia familiare. Attenzione ai colori dominanti, sono indice di una rielaborazione, il bambino sta rielaborano e allestendo dei meccanismi di difesa. Ora provate a comprendere come il bambino si colloca nell’universo dei suoi affetti attraverso questa forma che per i lui è preferibile rispetto alle parole: il disegno ed i colori.
A cura della Dott.ssa Anna Maria Sepe, specialista in Psicoanalisi Induttiva e Ipnosi traslativa.

giovedì 24 novembre 2011

Creare con la Creta - Laboratorio per i ragazzi DSA

Vi ricordo che domani alle ore 18.00 presso Villa Vannucchi a S. Giorgio a Cremano ci terrà il terzo appuntamento del Laboratorio di Creta condotto da angelo Borriello per i ragazzi DSA

martedì 22 novembre 2011

Very important: PDP da consegnare entro novembre

Entro il mese di novembre le scuole devono redigere il Piano Didattico Personalizzato per gli alunni con DSA secondo le linee guida del MIUR

ü     Legge 170/2010 nuove norme in materia di DSA in ambito scolastico
ü     Linee Guida 12.7.2011
ü     modello richiesta del PDP per i ragazzi DSA ai  Dirigenti   Scolastici 
ü  modello per la stesura del piano didattico personalizzato da  parte della scuola secondaria di 1° e 2° grado

Per la scuola dell'infanzia e la disgrafia Schede di pregrafismo: i riccioli

Schede di pregrafismo per i bambini della scuola dell'infanzia, i piccoli della primaria ed utilissime anche ai bambini disgrafici. Sono tutte schede che propongono di tracciare percorsi ad “e” ed “el”.
decora la torta - riccioli piccoli e grandi
segui le onde - continua i riccioli
traccia i riccioli - continua i riccioli
ripassa la traiettoria - completa le bamboline
riproduci i grafismi
segui la traiettoria del serpente
segui la traiettoria di ogni filo

Della valutazione di sistema: come e perché. Lettera aperta al ministro Francesco Profumo

Opinioni Gentile Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,
parlare di valutazione di sistema oggi non è affatto una cosa facile, non solo perché alcuni luoghi comuni in negativo agitati da alcune parti ne snaturano le finalità, ma anche perché il concetto stesso si è venuto maturando con difficoltà nel corso degli ultimi decenni e, a mio giudizio, non è ancora giunto a un suo definitivo ubi consistam.
Una storia non priva di difficoltà 

Cominciammo a parlare di valutazione di sistema un po’ timidamente in occasione della Conferenza della scuola del 1990 (ministro Mattarella), consapevoli che il miglioramento degli apprendimenti non è direttamente dipendente solo da un progressivo aumento degli investimenti. Poi nel ’94, con il varo del Testo unico dell’istruzione, con l’articolo 603, giungemmo a una prima definizione di “parametri di valutazione della produttività del sistema scolastico” e avvertimmo la necessità di allertare gli allora Cede, Bdp e Irrsae per un’attività di questo tipo (l’articolo 603 venne poi abrogato dall’articolo 17 del dpr 275/99). In seguito, con la legge 59 del ‘97 all’articolo 21, commi 9 e 10, ravvisammo ulteriormente la necessità di procedere alla verifica e alla valutazione della produttività scolastica. Nello stesso anno con la Direttiva 307 demmo vita presso il Cede al Sistema Nazionale di Valutazione per la Qualità dell’Istruzione. Infine, nel 1999, nell’articolo 10 del dpr 275 scrivemmo: “Per la verifica del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento e degli standard di qualità del servizio, il Mpi fissa metodi e scadenze per rilevazioni periodiche. Fino all'istituzione di un apposito organismo autonomo le verifiche sono effettuate dal Cede, riformato a norma dell'articolo 21, comma 10 della legge 59/97”. Nello stesso anno, con il dlgs 258/99 il Cede venne trasformato in Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione e la Bdp in Indire. L’Invalsi venne poi organizzato con il dpr 313 del 2000 come “ente di diritto pubblico sottoposto alla vigilanza del Ministero della pubblica istruzione”, L’Invalsi quindi nacque come una costola del Mpi e non come un’agenzia autonoma, come invece auspicavano i primi sostenitori della necessità che anche nel nostro Paese si delegasse a un’agenzia autonoma il compito di valutare la produttività del sistema scolastico (era il pensiero di Aldo Visalberghi).                        
   La valutazione di sistema trovò infine una sua corretta definizione con la legge 53/03, dove, all’articolo 3, comma b leggiamo: “Ai fini del progressivo miglioramento e dell'armonizzazione della qualità del sistema di istruzione e di formazione (professionale, n.d.a.), l'Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle istituzioni scolastiche e formative (professionali, n.d.a.); in funzione dei predetti compiti vengono rideterminate le funzioni e la struttura del predetto Istituto”. L’anno successivo, con il dlgs 286 viene istituito il Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione e viene riordinato l'Invalsi: alla parola finale “istruzione” viene aggiunta l’espressione “e formazione” (professionale).

L’avvio delle attività e le conseguenti implicazioni

In anni più recenti seguono una serie di direttive. Con la 74/08, a carattere triennale, si calendarizzano le concrete attività dell’istituto per la rilevazione degli apprendimenti: si decide che nell’anno scolastico 2008/09 si parte con la scuola primaria; con il 2009/10 con la scuola media, con il 2010/11 con la scuola secondaria di secondo grado. Con la direttiva 75/08, a carattere annuale, vengono individuati gli obiettivi generali delle politiche educative nazionali cui l'Invalsi dovrà attenersi per lo svolgimento della propria attività istituzionale per l'anno scolastico 2008/2009. Ai fini di una completa informazione, è opportuno ricordare anche i seguenti dispositivi: la Direttiva 67/10; la Nota 3813 del 30/12/10; la Lettera del Presidente Piero Cipollone alle scuole del 10 gennaio 2011; la Cm del Direttore Carmela Palumbo del 24 aprile 2011.
Le esperienze valutative che si sono avvicendate negli ultimi anni nelle scuole non sono state scevre da difficoltà: a) nessuna chiarezza alle scuole sui compiti loro assegnati e sulle concrete finalità delle rilevazioni; b) appesantimento non retribuito del lavoro degli insegnanti; c) prove Invalsi non sempre corrette sia in ordine alle concrete competenze da testare (data l’estrema incertezza normativa circa gli standard terminali dei singoli percorsi di studio) che sotto il profilo docimologico. Va aggiunto che le prove si sono “abbattute” sulle scuole in un momento di grave crisi succeduta ai tagli indiscriminati operati dai ministri Tremonti e Gelmini; per cui sembrava anche improponibile valutare la qualità delle prestazioni degli studenti mentre in contemporanea si tagliavano le risorse. Va anche considerato che nessuna disposizione chiara proponeva alle scuole l’obbligatorietà delle prove, la quale, pur se si desume dal citato articolo 3 della legge 53/03, non è mai diventata operativa a seguito di una trattativa che si sarebbe dovuta attivare in sede di normativa e di contrattazione.
Pertanto, nella tornata del 2011 l’amministrazione delle prove Invalsi ha provocato enormi difficoltà soprattutto nella scuola secondaria di secondo grado, giunta assolutamente impreparata e non sufficientemente informata dell’importanza e della necessità di una valutazione di sistema. Va aggiunto che, per insufficienza della norma e di una cultura docimologica a monte, si sono create pericolose confusioni tra la valutazione di sistema, relativa agli apprendimenti degli alunni, e la valutazione degli insegnamenti, che è tutt’altra cosa e che riguarda la distribuzione delle discipline e dei relativi monti orari, nonché la stessa valutazione degli insegnanti, che è altra cosa ancora. Il fatto è che in parallelo nel 2011 si è avviata in alcune scuole in via sperimentale un’attività concernente la premialità e il merito individuale degli insegnanti: ciò in ordine al titolo III, “merito e premi”, del dlgs 150/09 (decreto Brunetta). Va chiarito che la valutazione degli operatori pubblici, a qualsiasi amministrazione appartengano, pur se conforme con lo sviluppo del processo autonomistico e ad esso funzionale, non solo è tutt’ora in fieri, ma è assolutamente altra cosa rispetto alla valutazione del sistema di istruzione e di formazione. Se non c’è chiarezza su questi punti, anzi, se si alimenta la confusione, risulta estremamente facile che si elevino vigorose proteste: e così è stato in molti istituti secondari nello scorso mese di maggio, anche se Miur e Invalsi hanno preferito nascondere la testa sotto la sabbia e minimizzare la cosa.
Insomma, le autorità competenti devono ribadire con forza che un conto sono le iniziative di valutazione del merito dei singoli operatori, a qualunque amministrazione appartengano, altro conto è la valutazione di un intero sistema: può darsi infatti il caso di un operatore ottimo e di un sistema fallimentare, se non addirittura viceversa! Se poi il ministro Gelmini dichiara a ‘la Repubblica’ del 9 ottobre che “non riusciremo ad aumentare gli stipendi, ma vareremo un sistema di incentivi basato sui test Invalsi”,ciò dimostra con estrema chiarezza che non solo un ministro non sa quel che dice ma neanche quel che fa, o dovrebbe, con il suo stesso ministero! Si tratta, comunque, di un’ammissione estremamente pericolosa non solo per gli effetti che ha prodotto e produce, ma anche per l’errore che la sottende. O meglio, potremmo dire che le norme che si sono susseguite negli ultimi anni sono così impasticciate e confuse che neanche la loro depositaria e curatrice sembra capace di venirne a capo! Occorre ancora ribadire che si tratta di tre concetti diversi: a) le prove Invalsi – quando ben fatte, ovviamente – servono a valutare il sistema; b) gli incentivi agli insegnanti “bravi” sono un’altra cosa e rientrano nella premialità di cui al decreto Brunetta; c) andranno sostenute – con criteri da definire – quelle scuole che, grazie alle prove Invalsi, si dimostreranno più deboli: anche in forza di quei livelli essenziali delle prestazioni, di cui lo Stato ha legislazione esclusiva, come recita, tra l’altro, l’articolo 117 della Costituzione.

lunedì 21 novembre 2011

Ecco un articolo che sostiene la tesi del nostro Laboratorio di creta

Lavorare la creta o l’argilla

Lavorare la creta o l’argilla, oltre a darvi risultati artistici lusinghieri, è anche terapeutico, in quanto manipolarla fa scaricare sia le tensioni che le emozioni, prima fra tante la rabbia.
Questo lavoro che le mani possono permettersi di compiere nel manipolare un materiale così duttile, è una delle attività preferite dei bambini.
Nelle scuole materne ed elementari odierne, però, il significato di questa pratica rischia di diventare "meccanico", perdendo la sua funzione primitiva. Nell'esperienza naturale di gioco il bambino, infatti, manipola terra, sabbia, neve, argilla, costruendo quello che gli serve per il gioco. I bimbi possono realizzare semplici creazioni con la creta: palline forate con uno stuzzicadenti grosso (tipo quello per spiedino) per confezionare collane o bracciali; simboli magici quali stelle, cuoricini, angioletti (su cui si potrà incidere il nome del bimbo), cestini porta-oggetti di varie forme, ciotole per i propri amici domestici, e ancora bellissimi scacciapensieri da appendere a “guardia della porta d’ingresso” o nella cameretta dei bimbi come “protezione per la notte”. 


Se oltre alla manipolazione, gli oggetti che facciamo realizzare ai bimbi sono veramente utilizzabili, danno loro una grandissima soddisfazione. 

Questa esperienza naturale, se proposta in forma "obbligata" sintetica e/o finalizzata ad un risultato pre-definito anche sottoposto a canoni estetici", perde attrattiva e utilità. 

Lavorare un materiale sintetico (das, pongo, plastiline, etc.) per ottenere un oggetto già predefinito, non assolve assolutamente gli scopi della relativa attività didattica, per molti motivi. 

La creta costa poco. La creta naturale, si trova in diversi colori che dipendono dalle caratteristiche del terreno, ma sempre nella gamma tra l'ocra e il grigio. Si può fare essiccare al sole o in forno e poi può essere dipinta in tutti i colori desiderati, anche con tinte naturali usate a scopo alimentare

giovedì 17 novembre 2011

«Le icone di Jobs, aiuto ai dislessici»

TRIESTE. Se una carpa si trasforma in capra, o se come diventa cime e per leggere una breve frase ci vuole tanto tempo, ebbene siamo davanti a un caso di dislessia, uno dei disturbi specifici dell’apprendimento (o Dsa) per cui il bambino fa fatica a imparare a leggere, scrivere o calcolare correttamente e rapidamente come i coetanei. La Struttura complessa di neuropsichiatria infantile in collaborazione con il Servizio di epidemiologia e biostatistica dell’Irccs Burlo Garofolo ha realizzato uno studio su scala regionale (2009-2010), analizzando 94 classi quarte di altrettante scuole elementari. Lo studio è stato finanziato dall’Agenzia regionale della sanità e condotto in collaborazione con l’Agenzia stessa, l’Ufficio scolastico regionale e l’Associazione italiana dislessia (Aid). È emerso che soffre di dislessia quasi il 3 per cento della popolazione scolastica: bambini spesso ritenuti pigri, svogliati o disubbidienti, che invece andrebbero aiutati e sostenuti con percorsi educativi su misura. «Il nostro primo obiettivo – spiega Isabella Lonciari, psicologo della Neuropsichiatria infantile e referente tecnico nazionale dell’Aid – è stato censire i casi regionali di dislessia. Con numeri più precisi in mano, abbiamo contribuito a inquadrare il fenomeno a livello nazionale, in un progetto che vede coinvolte dieci regioni italiane coordinate dal nostro Istituto». Che cosa si può fare per offrire ai dislessici una modalità di apprendimento dedicata? Dice Lonciari: «La diagnosi deve essere precoce, alla fine della seconda classe elementare. Esistono poi diversi iter riabilitativi che permettono di lavorare sulla correttezza della lettura e sulla rapidità. Nella maggior parte dei casi la lentezza non si elimina, ma la correttezza può migliorare». Ed è significativo che anche Steve Jobs, ceo di Apple da poco deceduto, abbia analizzato il problema con la vivacità che gli era propria. Osserva Lonciari: «Jobs ha creduto nell’importanza di offrire agli utenti una diversa modalità di accesso alle informazioni. La sua interfaccia grafica basata su icone può essere un valido aiuto per i dislessici che sono facilitati da un approccio per immagini, bypassando così la traduzione dal codice scritto a quello orale».
di Cristina Serra

mercoledì 16 novembre 2011

Laboratorio D.S.A. - Creare con la Creta

Angelo Borriello a Villa Vannucchi - C.so Roma - San Giorgio a Cremano terrà il secondo appuntamento del Laboratorio D.S.A. - Creare con la Creta. Appuntamento alle ore 18.00

COMPUTER CON SINTESI VOCALE E LIBRI AD ALTA LEGGIBILITA’ PER AFFRONTARE LA DISLESSIA

lettere alfabeto bambiniLa scuola tratta la dislessia con pochi mezzi, spesso obsoleti, anche se la L. 170/2010 prevede strumenti tecnologici innovativi

La dislessia è un disordine del linguaggio in cui la capacità di lettura è al di sotto di quanto atteso per età, intelligenza e scolarizzazione. E’ determinata da alterazioni non ancora ben note ma in parte è anche risultato di fattori ambientali.
I bambini dislessici confondono lettere dalla forma o suono simile, invertono le sillabe o le lettere, hanno difficoltà con le tabelline e le serie numeriche, le sequenze, i rapporti spazio-temporali e le abilità motorie.
La dislessia può però essere corretta: se le terapie tradizionali prevedevano stimoli  percettivi, uditivi e visivi, la più recente realtà uditiva virtuale prevede invece l’ascolto con le cuffie di suoni e voci dai toni diversi, vicini o lontani e ciò consente di percepire quanto giunge ad un orecchio e all’altro, costruendo nuovo  equilibrio.

NUOVI STRUMENTI – Il
Decreto 5669/2011, attuativo della L. 170/2010 sui Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA), prevede la possibilità di registrare le lezioni, evitando di prendere appunti, o usare computer con correttore automatico e sintesi vocale. Molto spesso, però, a causa delle risorse esigue, avere questi strumenti non è affatto immediato.

LA FONT BIANCONERO – Fuori dal mondo scolastico, tuttavia, vi sono importanti novità. Alcune case editrici, come
Bianconero, Sinnos e Angolo Manzoni, hanno stampato volumi ad alta leggibilità, con accorgimenti linguistici e tecnici che rendono la lettura più facile. Le pagine hanno spaziature adeguate a non far sovrapporre le righe ed il racconto è fatto di periodi  brevi e non complessi. Biancoenero ha brevettato una font, un carattere tipografico molto nitido, quindi più leggibile, lavorando sul disegno delle lettere, disponibile, gratuitamente, per le istituzioni ed i privati che la utilizzino per scopi non commerciali.

IL CONTRIBUTO DELLE ASSOCIAZIONI – Non manca il supporto delle associazioni di categoria: l’
Istituto di Istruzione Superiore Olivetti  ha attivato un campus con supporto informatico; l’Associazione SOS Dislessia ha avviato il corso Ca.Sco ed offre consulenza, formazione, progetti e laboratori; la Fondazione Cannavaro Ferrara ha invece avviato una raccolta di fondi per il progetto “Albert Einstein … uno come me”.

Il progresso tecnologico, le iniziative editoriali e delle associazioni offrono possibilità crescenti per superare con successo le difficoltà degli allievi dislessici. La scuola, da parte sua, possiede ormai le norme che consentono approcci innovativi e funzionali. E’ però ormai troppo impoverita, nelle risorse economiche e di personale e molto spesso è costretta a trascurare chi necessita di percorsi specifici, lasciando ad altri  compiti primari di formazione ed istruzione.

Comunicare la diagnosi di dislessia ai bambini

Creato il 14 novembre 2011 da Rossellagrenci
COMUNICARE LA DIAGNOSI DI DISLESSIA AI BAMBINI
Qualche giorno fa mamma Catia aveva affrontato nel suo blog A scuola con Matilde l’argomento della comunicazione della diagnosi di dislessia ai bambini. Nella Guida alla dislessia per i genitori, pubblicato dall’AID, viene trattato anche questo argomento. Fra tutti i consigli che vengono dati (e che Catia riporta),  ne cito alcuni che mi sembrano particolarmente “critici”.l’argomento della comunicazione della diagnosi di dislessia al bambino. Nel libretto dell’AID
- Spiegategli che questo non è colpa sua, nè dei genitori o della scuola. E’ qualcosa che succede senza motivo, come avere i capelli di un determinato colore, o gli occhi azzurri.
- Se prima di sapere la diagnosi avete discusso con vostro figlio per i compiti e per i suoi insuccessi, ammettete il vostro errore. Non abbiate paura di chiedergli scusa, i bambini sanno perdonare molto bene.
- Se vi è bisogno di un aiuto supplementare, magari per i compiti a casa, presentatelo come un’opportunità, non come una punizione.
- Si gli aiuti supplementari vanno ad interferire con altre attività che gratificano il bambino, valutate attentamente se vale la pena di fare questo intervento.
- Assicuratevi che vostro figlio sappia che anche se la scuola è molto importante è solo un aspetto della sua vita.
- Se volete raccontare della diagnosi ad altre persone, parenti o amici, fatelo cercando di essere il più positivi possibile e dicendo le stesse cose che avete raccontato a vostro figlio. Eventuali discrepanze potrebbero arrivare a vostro figlio e peggiorare il vostro rapporto.

lunedì 14 novembre 2011

Dislessia e docenti: scontro o incontro?

Quattro “tipologie” di docenti e il loro diverso approccio con lo studente dislessico, l’esperienza di una logopedista.
di Rossella Grenci
Quando devo scrivere un articolo “nuovo” sulla dislessia ho sempre il timore di essere ripetitiva, di annoiare chi lo leggerà: sempre le solite cose? Purtroppo mi piacerebbe parlare di cose nuove, ma per i più non è così. È con questo stato d’animo che ho deciso di scrivere ancora di dislessia, un po’ perché sono stata stimolata, un po’ perché mi rendo conto che è un modo privilegiato per far passare le informazioni e per creare ambiti di discussione.

In particolare mi viene chiesto di parlare di “dislessia e scuola”: cos’altro se no? Meglio: dislessia ed insegnanti, docenti, maestri. I contatti, diretti e non, che ho avuto e che ho tuttora con la classe docente, mi permettono di poter dire la mia sul difficile rapporto studente dislessico/docente.

Vorrei parlare della “tipologia” di docenti che conosco, non me la si voglia se per esemplificare farò una classificazione.
la Legge n. 170 dell’08/10/2010
• Rossella Grenci ha pubblicato sull’argomento dislessia diversi lavori scientifici e i seguenti libri: “Capire per imparare. Un approccio metacognitivo ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento”, Del Cerro, 2001; “Le aquile sono nate per volare. Il genio creativo nei bambini dislessici”, La meridiana, 2004 (3 edizioni); “Filastrocche sui gruppi consonantici. Giochi e attività”, Erickson, 2005 (2 edizioni), ora anche in versione gioco CD; “La dislessia dalla A alla Z. Cento parole chiave”, Libri Liberi, 2007; coautrice insieme a Daniele Zanoni di “Storie di normale dislessia. 15 dislessici famosi raccontati ai ragazzi”, Angolo-Manzoni, 2007 (primo libro per dislessici); “Cogli l’attimo. Giochi per esprimere e trasformare le emozioni in versi”, La meridiana, 2007.

La scuola dell’autonomia e gli alunni con DSA

in Organizzazione della scuola di Dario Missaglia |La scuola dell’autonomia e gli alunni con DSA

Nella pubblicistica medico-scientifica rimangono aperte molte domande sulle origini e le cause dei disturbi specifici di apprendimento, alcuni esperti del settore non nascondono che parlare di “disturbi” con base neurologica in organismi in pieno sviluppo sia un autentico azzardo. Ma era allora proprio necessaria una definizione legislativa?


In una situazione così complessa e per certi aspetti drammatica del nostro Paese, rischia di rimanere in ombra il processo che inizia ad aprirsi nelle scuole per l’attuazione della legge 170/2010 (“Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico”) e relative Linee Guida (12 luglio 2011).

Diciamo subito che sulla legge qualche dubbio aleggia in diversi ambienti. Non tanto per il merito in sé (l’esigenza di una risposta istituzionale al problema dei DSA è indubbia) quanto per alcuni aspetti della legge stessa che non si limita ad affermare l’esigenza di riconoscere e dare risposte concrete a diritti fondamentali della persona. Lascia per esempio perplessi una definizione legislativa delle quattro tipologie di DSA, pur attenuata dal comma 7 dell’art.1 “nell’interpretazione delle definizioni ... si tiene conto dell’evoluzione delle conoscenze scientifiche in materia”. Sorprende inoltre l’assenza di un qualche riferimento allo scenario europeo e internazionale, ben documentato, per esempio, dalla indagine di TreElle edita da Erickson 2011, che avrebbe potuto offrire, probabilmente, un approccio più aperto al problema dei DSA. Nella pubblicistica medico-scientifica di riferimento non tutti infatti convergono su una definizione così netta come quella sancita dalla legge; rimangono aperte molte domande sulle origini e le cause di questi disturbi e alcuni esperti del settore non nascondono che parlare di “disturbi” con base neurologica in organismi in pieno sviluppo sia un autentico azzardo. Ma era allora proprio necessaria una definizione legislativa?

domenica 13 novembre 2011

Laboratorio di carta pesta di Serena Tramontano: Emozioni in carta

"LA EDU-K® HA EFFETTIVAMENTE AIUTATO BAMBINI, RAGAZZI E ADULTI RIDUCENDO AL MINIMO O ELIMINANDO DISLESSIA, IPERCINESI, DISTURBI DI APPRENDIMENTO."

DSA / Disturbi Specifici dell'Apprendimento
"Nella mia osservazione, durante anni di lavoro nelle scuole con i bambini, le etichette usate per le difficoltà specifiche dell'apprendimento sono generalmente arbitrarie, cioè basate sul comportamento e sul non-patologico.
Queste etichette includono: Iperattività, ADD, ADHD, Disabilità nell'Apprendimento, Handicap Emozionale.
Troppo spesso etichettare porta a semplificare superficialmente, all'insensibilità, ad un atteggiamento che drammaticamente non considera più la realtà oggettiva: l'unicità della persona.
E' triste riconoscere che spesso intrappoliamo bambini e adulti in una visione limitata di sè stessi e del loro potenziale di apprendimento.
Se proprio dobbiamo etichettare queste persone io suggerisco l'etichetta
SOSOH: Stressed Out, Survaival-Oriented Humans - Persone Stressate e Orientate alla Sopravvivenza ".
C.Hannaford




Dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia sono classificazioni dei DSA o disturbi specifici dell'apprendimento.
Dislessia indica una difficoltà a leggere fluidamente e a comprendere il testo.
Disgrafia indica la difficoltà a comporre le parole graficamente e in modo sequenziale corretto.
Disortografia indica la difficoltà a comporre le parole correttamente, con le doppie e le h al posto giusto, ad esempio.
Discalculia è la difficoltà nel fare calcolo numerico e/o nel ragionamento matematico.
Ci sono vari livelli di queste difficoltà e di norma sono misurati nei classici tests applicati preso le ASL o gli ospedali.

Nella Kinesiologia Educativa questa terminologia non indica una patologia ma uno stato particolarmente svantaggioso dell'organizzazione neurologica della persona che è comunque assolutamente modificabile.
I tests studiati dal Dr. Dennison indagano in modo particolareggiato l'area cerebrale relativa alla funzione (ad es. la coordinazione occhio-mano nello scrivere) e il tipo di movimento o di pressione o di postura che è necessario applicare per stimolare la coordinazione cerebrale e la formazione di nuove sinapsi. Di conseguenza all'applicazione
la persona può immediatamente sperimentare un cambiamento nell'esperienza
(ad es. scrivere). Questo cambiamento viene ancorato grazie al Test Muscolare e alla ripetizione dell'esercizio finchè avviene la completa integrazione e la difficoltà è superata.

Qui accanto è rappresentato un caso di prospettiva visiva che può determinare il disorientamento durante la lettura (dislessia): le lettere appaiono sfuocate o instabili, come in movimento, la luce irregolare (in alcuni punti troppo forte in altri ci sono delle ombre). Lo sforzo di mantenere, in questo caso, gli occhi ben focalizzati per fissare le parole crea alla persona un ulteriore stress, rigidità oculare e di conseguenza difficoltà a capire il testo e a memorizzarlo.

In altri casi può esserci un disorientamento auditivo nel leggere a voce alta che può rende difficoltosa la comprensione del testo. Anche lo stress emozionale di leggere difronte ad un gruppo di persone, legato ad un'esperienza traumatica o ad una convinzione negativa (scarsa autostima), crea destabilizzazione .

Il Brain Gym® prevede, fra gli altri, i tests oculari per l'attraversamento della linea mediana e i tests per il riequilibrio energetico.

La disgrafia come la disortografia sono spesso caratterizzate da una irregolare posizione dell'impugnatura della penna. Questo è spesso indice di un disturbo motorio e di una difficoltà di coordinazione occhio-mano e comunque di una compensazione motoria che crea fatica e stress. Infatti un'impugnatura naturale, dà la possibilità di creare un movimento rotondo e fluido, come è necessario per la scrittura in corsivo. Un'impugnatura scorretta causa tensioni muscolari eccessive e dolorose alla mano, al braccio, alle spalle alla schiena e rende impossibile la rotondità del tratto. La scrittura risultante è eccessivamente calcata, spesso non ha una proporzione regolare fra le lettere nè una dimensione equilibrata ed è difficilmente leggibile. Il disordine e la disorganizzazione dello spazio nel foglio sono caratteristiche di disgrafia.

La non leggibilità della scrittura è spesso un fattore di grande frustrazione che influisce negativamente sull'autostima della persona.

Comunemente si osserva che l'ordine delle lettere all'interno della parola è invertito; la parola è contratta (mancano lettere nella zona centrale) o è tronca (manca di conclusione).
Il ritmo della mano durante la scrittura può risultare estremamente rapido o estremamente lento. Il gesto è segmentato e spesso interrotto piuttosto che fluido e rotondeggiante.
Spesso, in presenza di disgrafia, la persona preferisce scrivere in stampatello usando prevalentemente l'emisfero cerebrale gestalt. La scrittura corsiva è il risultato di un'elaborazione del movimento che implica necessariamente la coordinazione dell'emisfero logico (sn) con quello gestalt (dx).
Con il Brain Gym® si eseguono i tests per la coordinazione oculo-motoria allo scopo di verificare la coordinazione occhio-mano e si individuano gli esercizi idonei alle correzioni necessarie.

L'Allungamento del Braccio secondo Dennison, facilita l'ortografia e predispone la persona ad una nuova esperienza del movimento della mano grazie al rilassamento della muscolatura pettorale.

Il disorientamento spaziale e un blocco emozionale sono spesso causa di discalculia. La persona sperimenta un'assenza di radicamento e una sensazione di vuoto spaziale, assenza di riferimenti oggettivi e a volte panico difronte alla memorizzazione delle tabelline, ad una divisione o anche ad un calcolo più semplice. Spesso è associata a questo disturbo una difficile comprensione del testo.
Anche quando un'operazione o un ragionamento matematico sono a fatica compresi immancabilmente dopo qualche ora la persona ha la sensazione di un totale vuoto, nella memoria non è stato sedimentato il procedimento anche se questo sembrava compreso. Questo disturbo è caratterizzato spesso da rigidità tendinea nelle gambe.


Gli esercizi Brain Gym® di allungamento facilitano la coordinazione cognitiva per i calcoli e la comprensione dei problemi.
E' importante che gl
i insegnanti abbiano gli strumenti per riconoscere ed individuare le caratteristiche dei DSA per poter inviare tempestivamente la persona con queste difficoltà ad un professionista della riabilitazione. Si può così evitare il vorticoso crollo dell'autostima o l'instaurarsi di disturbi del comportamento.